lunedì 30 settembre 2013

POMODORI DI OTTONE 2013


Qualche foto dei miei pomodori di quest'anno
....
Nel complesso una buona annata.


Il migliore si è rivelato quello di Palmiro e Alessandro n.2, frutti grandi e di ottimo sapore. Ho tenuto i semi.
Palmiro e Alessandro n.2
Palmiro e Alessandro n.2
S.Marzano nano
 Ottimo anche il negro murciano. Ho tenuto i semi anche di quello:


Queste sono 11 delle 20 varietà seminate, 19 hanno fruttificato.


In senso orario da sinistra:
  • tondino rosa di benevento, 
  • murciano negro, 
  • moruno de socuellamos, 
  • cuore di bue di bettona, 
  • gigante di ingegnoli, 
  • ikea, 
  • s. marzano nano, 
  • san marzano, 
  • kumato, 
  • pursemmina, 
  • in alto grappoli di ciliegino del Salento.


lunedì 23 settembre 2013

TRICHOSANTHES CUCUMERINA

var. Anguina
di Claudia Maggi

Da anni cercavo i semi di questa zucca “tropicale”
Li ho ricevuti due anni fa da un’amica di giardinaggio, una carissima “vicina di orto” virtuale.
Ero tanto felice di averli ricevuti! Ho pensato bene di non metterli nella scatola con tutti gli altri semi, per non perderli nella confusione. Così li ho persi davvero, e la primavera successiva non li ho potuti seminare. Che rabbia! Finalmente li ho trovati e li ho tenuti sul comodino per tutto lo scorso inverno, per non perderli di vista!
Giunta la primavera li ho divisi a metà con un altro caro vicino di orto virtuale, ne ho tenuti 4, e tutti sono germogliati.


Per aumentare le possibilità di ottenere la semente ho dato due piantine a due amici e ne ho tenute due. Pare che le uniche sopravvissute siano state le mie.
All’inizio le piantine mi hanno fatta penare: belle, non dico, ma sempre piccine, e non facevano fiori.
Finalmente il 17 giugno noto una pallina su uno stelo: il primo bocciolo!


L’ho sorvegliato per tutto il pomeriggio e dopo il tramonto si è aperto: un’impresa fotografarlo, con lampade e torce. Temevo che appassisse prima dello spuntare dell’alba. Invece è rimasto in forma fino al primo pomeriggio.


Da allora molti fiori si sono susseguiti, ma non allegavano frutti.


I primi frutti li ho visti al ritorno da una settimana di vacanza. Appena arrivata sono subito corsa a vedere, ed ecco cosa ho trovato:


La buccia è compatta, non si incide facilmente come quella delle zucchine nostrane, ed è morbida e soffice al tatto.

La Trichosantes cucumerina var. Anguina è la varietà coltivata, dai frutti più gradevoli. E’ una cucurbitacea rampicante adatta ai climi tropicali e subtropicali. Allo stato spontaneo cresce in folti “cespugli” ai bordi delle foreste e nelle radure del sudest asiatico, Cina, India e Corea.
La sua coltivazione non si è molto estesa. La si trova quasi solo in Africa, dove in alcune zone è anche commercializzata (e d’ora in poi si troverà nell’orto di Iaia!)
Molte delle sue caratteristiche la fanno assomigliare a prima vista a una pianta di cetriolo: il fusto sottile, la forma e la misura delle foglie, la grandezza dei fiori. Ma la similitudine con i fiori di cetriolo si ferma qui, perché la anguina ha stupendi fiori bianchi, molto profumati dai cui bordi partono sottili filamenti, che allo sbocciare si distendono, per poi arricciarsi man mano il fiore tende ad appassire.
I fiori spuntano all’ascella delle foglie: i maschili in gruppo, i femminili sono singoli.
La pianta può crescere per parecchi metri. Anche i giovani frutti possono assomigliare a dei cetrioli, in particolare ai tortarelli. All’inizio sono molto sottili e di colore chiaro uniforme, poi si evidenziano le striature più scure. A maturazione tali striature dovrebbero diventare rosse o arancioni, ma in realtà il mio frutto esternamente non ha mutato colore. L’ho raccolto perché si è aperto in punta e ho visto all’interno la polpa ben rossa.

Da allora ho raccolto molti frutti.


Sono pronti per il raccolto una paio di settimane dopo l’allegagione, quando sono tra i 40 e i 60 cm di lunghezza. Occorre fare attenzione perché al momento della raccolta esce abbondante liquido di vegetazione che può sporcare gli abiti.


Il gusto è un po’ “selvatico” ma non sgradevole. Anche l’odore è un po’ “selvatico” ma si disperde durante la cottura. La buccia può essere duretta ma non cattiva, così ho preso l’abitudine di sbucciare i frutti e di utilizzare le bucce a parte. La polpa è più soda e impiega più tempo delle comuni zucchine per cuocere e contenendo molta più acqua il calo tra prodotto crudo e cotto è notevole. Se ne dovrà tenere conto al momento di salarle. I semi se sono teneri e gelatinosi si cucinano assieme alla polpa, se il loro tegumento si è indurito bisogna toglierli.


Così  ho preso l’abitudine di cucinare la polpa in padella a dadini, con un po’ di olio e sale. Quando abbondavo con il sale recuperavo aggiungendo una patata a cubetti, tagliati alla stessa misura dei pezzetti di zucchina e precotti a microonde. Ora ci ho fatto l’abitudine e non sbaglio più.


Le bucce le metto a lessare in acqua, poi passo il tutto con un frullatore ad immersione. Completo la minestra con altri ingredienti: esempio con sale e un paio di cucchiai di farina di ceci. Una volta cotta la farina di ceci ho aggiunto del formaggio per condire. Che dire: è piaciuta anche a mia madre che non gradisce nemmeno la polpa delle “cucumerine” (è molto diffidente verso tutte le stramberie che semino) e non sopporta i ceci! E non l’ho imbrogliata, sapeva che quella minestra conteneva entrambi gli ingredienti. Oppure aggiungo semplicemente della pastina. Chi ne fa uso può metterci un po’ di dado, un pochino di pomodoro, un filo d’olio… quello che si preferisce.


Quando il frutto è maturo si distingue un anello esterno appena sotto alla buccia di colore bianco/verdognolo/giallastro e di consistenza cremosa, mentre all’interno spiccano i semi, avvolti da una polpa di color rosso brillante.


Per gli Amici dell’orto mi sono sacrificata e le ho assaggiate entrambe. :) Nonostante l’aspetto poco invitante non sono malvage: Il gusto è molto leggero, tra il cetriolo e la melagrana. Con un po’ di zucchero e limone non è male. In Africa la polpa rossa si usa come sostituto del pomodoro, ma sinceramente mi sembra più adatta ad essere usata come frutta che sulla pasta.


I semi sono grigiastri e spigolosi, vagamente esagonali.


Tutta la pianta è commestibile, ma io ho assaggiato solo i frutti. Alcune varietà hanno polpa e foglie amare.

In genere i frutti crescono contorti. Per evitare si può attaccare un peso alla fine del frutto, ma temo così facendo di romperli. Non mi dà nessun problema avere i frutti ricurvi. Ah! I frutti possono arrivare alla ragguardevole lunghezza di 150 cm.
La pianta dovrebbe essere fertilizzata ogni settimana, con l’accortezza di non abbondare eccessivamente con l’azoto, onde evitare uno sproporzionato sviluppo dei tralci a discapito della produzione di frutti. Temendo di sbagliare, di esagerare, di danneggiare la pianta e compromettere la maturazione del frutto ho concimato solo alla messa a dimora. L’anno prossimo se avrò tante piante concimerò.

Nelle mie ricerche ho trovato notizia di diversi parassiti e di malattie fungine che la possono attaccare. Non ho riscontrato niente di simile. La pianta è bella, sana e non ci alberga nessun insetto, almeno, io ho visto solo qualche insetto sostare brevemente sui fiori, ma senza procurare nessun danno.
Viene descritta come insipida e mucillaginosa, ma io non la trovo così terribile. Sicuramente non mucillaginosa come il gombo o la portulaca. Di questi non apprezzo la consistenza, ma con qualche accorgimento li uso.
Non ho sentito la necessità di aggiungere nessuna delle molte spezie consigliate per renderla “gustosa”, secondo me non ce n’è bisogno.


Curiosità: viene usata nella medicina tradizionale come vermifugo e non solo, e sta suscitando l’interesse di alcuni ricercatori nell’ambito della medicina ufficiale.  Il legno viene utilizzato per la produzione del didjeridoo. Questo probabilmente può accadere solo nelle regioni molto calde: da me non si è lignificata.


Conclusioni: il fiore pur essendo più piccolo rispetto a come lo immaginavo è talmente bello e profumato che non solo gli ortolani, anche i giardinieri potrebbero prendere in considerazione l’idea di coltivarla.


mercoledì 18 settembre 2013

L'ELICRISO e il colore del sole

 Il semprevivo dal sapore di curry
di Francesco (tuerras) e Roberta



Il genere Helicrisum (helios = sole e chrysos = oro), appartenente alla famiglia delle Asteraceae, include circa 600 entità di rango specifico e subspecifico distribuite in Africa e isola di Madagascar, Australasia ed Eurasia.
Si tratta di piante perenni, camefite suffruticose, spesso profondamente aromatiche, grigio o bianco-tomentose, con foglie alterne a margine intero. Le piante producono numerose infiorescenze a capolino, riunite in glomeruli, con fiori tubulosi (niente ligule come quelle della margherita, volgarmente dette “petali”).
I semi presentano un pappo di peli che consente la dispersione anemocora (trasporto dei semi tramite il vento).

Helichrysum italicum (Roth) Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman
Per il territorio italiano sono note poco meno di una decina di entità (senza considerare quelli di rango varietale), delle quali più della metà sono endemiche di Sicilia (e piccole isole vicine) e Sardegna.
Quella più diffusa è sicuramente Helichrysum italicum (Roth) Don. presente in tutte le regioni tranne Val d’Aosta e Trentino Alto Adige con la subsp. italicum, ed in Sardegna con la subsp. microphyllum (Willd.) Nyman. Abbastanza diffuse le due specie Helichrysum litoreum Guss. (quasi tutte le regioni tirreniche) e Helichrysum stoechas (L.) Moench (parte delle regioni tirreniche e Piemonte).


Gli elicrisi colonizzano le garighe e le macchie basse, prati aridi, pietraie, scogliere e rupi dai 0 agli oltre  1.000 metri s.l.m. (fino a 1700 m per H. nebrodense Heldr., endemico di Sicilia).

In tutto il mondo le varie specie di elicriso vengono utilizzate da tempi storici per usi alimentari e aromatici, medicinali, ma anche cosmetici, ornamentali-rituali, magici.

Le brattee membranose e cartacee dei capolini disidratati si conservano inalterate anche per lungo tempo (più anni), entrando così nelle composizioni di fiori secchi ad uso ornamentale.


Le proprietà dell’elicriso vennero studiate da Plinio, Geber, Dioscoride, che considerarono la specie un rimedio universale per gran parte dei disturbi del fisico umano.
I principi attivi degli elicrisi sono costituiti prevalentemente da olii essenziali, fitosteroli, flavonoidi, acido caffeico, col eretiche, elicrisina, e conferiscono ai preparati proprietà antieczematose. antinfiammatorie, analgesiche, antiallergiche, antiartritiche, antibatteriche, antireumatiche, antipsoriasiche, cicatrizzanti, colagoghe, depurative, desclerosanti, drenanti epatiche, espettoranti, ipocolesterolizzanti, spasmolitiche, stimolanti gastriche, tossifughe.
Viene infatti utilizzato per uso interno come sedativo degli eccessi di tosse, per agevolare l’espettorazione del catarro bronchiale, lenire gli spasmi d’asma e le irritazioni allergiche delle mucose nasali. Per uso esterno è utilizzato per il trattamento di cicatrici, dermatiti, eczemi edemi, emorroidi, ferite, piaghe, psoriasi, scottature.
Preparati a base di elicriso sono utilizzati anche per combattere artriti, nevralgie e nevriti. In ogni caso, attualmente del suo impiego non sono ancora note tutte le eventuali controindicazioni, e per questo se ne sconsiglia l’utilizzo sui bambini e sulle donne in stato interessante o in allattamento.

http://www.malattiecroniche.info/novita-sullelicriso-sardo/



RICETTE CON ELICRISO
(premesso che dell'elicriso si mangiano le foglie e i fiori, sia freschi che secchi - eliminare le foglie brutte e quelle annerite insieme al rametto)

SPAGHETTI AL PESTO DI ELICRISO
  • Preparate un trito di foglie e fiori di Elicriso;
  • Grattugiate la scorza del limone in buona quantità;
  • versare il tutto in una ciotola ed amalgamare con adeguata quantità di olio;
  • Versare la pasta cotta nella ciotola del condimento con un po' di acqua di cottura;
  • Mischiare bene;
  • Se di vostro gradimento potete aggiungere parmigiano grattugiato o un trito di mandorle o noccioline.

TISANA DI ELICRISO
  • Aggiungere qualche rametto misto di foglie e fiori alle tisane;
  • L'elicriso può essere usato anche da solo... ma può risultare un po' amaro.

TRITO DI ERBE AROMATICHE DA USARE IN CUCINA PER CARNI E PESCI
  • Aggiungere fiori e foglie di elicriso ai triti di erbe aromatiche per dare un gusto particolare tendente al  curry.
  • Il trito di elicriso si può usare anche da solo;
  • Negli arrosti o in piatti in umido si possono aggiungere uno o più rametti interi;
  • Le foglie e fiori secchi risultano meno aromatici, ma meno amari

RISOTTO ALL'ELICRISO
  • Sbizzarritevi ad inventare il vostro risotto. Abbinate l'elicriso con quello che più vi piace;
  • Se mischiato alla zucca tende a togliere il gusto solitamente dolciastro di quest'ultima.


SALSE E SALSETTE
  • Inventate voi la vostra salsa;
  • Molto buono mischiare un trito di elicriso con il rosso dell'uovo cotto e schiacciato + olio d'oliva al fine di condire fantastici crostini.

LIQUORE DI ELICRISO

In Sardegna con l'elicriso si prepara anche un liquore dal gusto particolare e dal sapore amaro.
Per la ricetta provate a dare un'occhiata qui
https://it-it.facebook.com/permalink.php?story_fbid=193712937419420&id=286489721454754


USO COSMETICO
Potete preparare:
  • oleolito di elicriso (particolarmente indicato per psoriasi e dermatiti importanti);
  • olio essenziale (se avete un distillatore per oli essenziali);
  • tintura di elicriso (molto interessante prepararla insieme all'iperico - hanno stesso periodo di fioritura);
  • mischiare questi prodotti con creme, maschere e quant'altro.
L'elicriso ha un odore molto forte che può essere gradevole per qualcuno e troppo intenso per altri.
Sperimentate prima di usarne troppo. 

ALTRI USI
  • Potente anti-tarme da mettere nei sacchetti dentro agli armadi

lunedì 9 settembre 2013

AMARANTO

di Claudia Maggi

Come già sapete ho l'abitudine di seminare tutto quello che mi capita tra le mani, così quando ho visto sugli scaffali di un comune supermercato un sacchettino di semi di amaranto l'ho subito acquistato.
La prova in cucina secondo quanto consigliato sulla confezione è stata deludente, i semi sono diventati una massa appiccicosa, di buon sapore ma di consistenza sgradevole, così li ho usati in piccola quantità come fossero pastina e ovviamente alcuni li ho seminati.


Il mio primo errore è stato credere a quanto mi dicevano i saggi agricoltori di mia conoscenza, quelli che acquistano solo piantine innestate in vivaio.
"Non nascono! Cosa credi? Sono semi lavorati, sono pilati, sono tostati..." non sapevano più cosa dire di quei poveri semini. Così, tanto per stare tranquilla, ne ho seminata una quantità esagerata. Come se tanti semi tostati nascessero più facilmente di pochi... 
Ebbene, non erano tostati e sono nati tutti.


Ho diradato, estirpato, trapiantato.
Ogni volta che lo raccolgo estirpo alcune piantine, ma ancora sono troppo fitte!  Così le prime piantine attorno all'aiuola si sono sviluppate bene, ma quelle all'interno sono rimaste piccole.
Detto questo, ho da pochi giorni tentato una risemina estiva (con luna crescente e caldo eccessivo, staremo a vedere) e ho cercato di seminare molto meno fitto. I semi sono piccolissimi e "sembra" di seminarne pochi ma ingannano.
Sono nati bene, anche se ancora un po' fitti. La raccolta è ancora lontana.


Devo dire che i risultati migliori li ho avuti con le piante seminate direttamente a dimora piuttosto che con quelle trapiantate. Sì, io che trapianto proprio tutto, e contraddicendo quanto ho letto mentre mi documentavo riguardo la coltivazione di questa pianta, consiglio di non trapiantare l'amaranto.


Mi sono lasciata prendere dal racconto della mia esperienza, dimenticando di inserire qualche notizia riguardo questa pianta.


L'Amaranthus è un'erbacea annuale semirustica che comprende diverse specie ed ibridi tra eduli e decorativi. Molto particolare il "tricolor" con foglie decorative nei colori giallo, rosso e bronzo.
Tra le specie commestibili hanno maggiore diffusione il caudatus, il cruentus e  l'hypochondriacus. Non so a quale appartengano i semi che ho utilizzato, sulla confezione non è indicata la specie, ma sicuramente sono piante specifiche per la produzione del seme.  Le piantine da me ottenute sono in grande maggioranza a foglia verde, con una piccola percentuale a foglia rossa.  Le piante hanno portamento eretto.
L'altezza teorica va da uno a tre metri; le mie finora non hanno raggiunto la fioritura (e vista la quantità di foglie che raccolgo penso che non lo faranno) ma sono alte solo circa 60 cm, con brevissima distanza tra le foglie. Non so se imputare la bassa altezza alla continua raccolta di foglie o al mio terreno argilloso o alla posizione quasi completamente in ombra.


Infatti la pianta preferisce un terreno sciolto e pieno sole. Le foglie sono di forma ovale-lanceolata, e nei primi raccolti sono molto grandi. In seguito, dall'attaccatura di ogni foglia si sviluppa un nuovo ciuffo di foglie e di conseguenza la dimensione delle singole foglie diminuisce.   
Non ho ancora visto i fiori, che sono unisessuati, minuti, riuniti in infiorescenze cosiddette "a cima", ascellari o terminali. Le cime, più o meno lunghe, possono essere pendule o erette, strette o ampie e piumose, in varie sfumature di colore. Recise, durano a lungo nell'acqua.

La pianta è originaria del Centro America, ed era fondamentale nella vita di Aztechi ed Incas, infatti veniva utilizzata come alimento, come medicamento e nei riti religiosi e magici.  Gli Incas lo chiamavano Kiwica, piccolo gigante: da un seme così piccolo una grande pianta con tantissime virtù.


Si dice che i conquistadores vennero accolti in pace da quelle popolazioni ma come sappiamo non ricambiarono tale atteggiamento, distruggendo quelle culture millenarie ed impedendo la coltivazione dell'amaranto, in quanto legato ai loro riti pagani, sostituendolo con il grano tenero, ottimo cereale ma privo dei grandi meriti dell'amaranto.
Di quelle antiche popolazioni resta ormai solo il ricordo, nelle opere che hanno lasciato e nei semi che sono giunti fino a noi, sopravvissuti presso piccole coltivazioni, e che ora possono colonizzare anche i nostri orti, ed esistono progetti per la reintroduzione nelle terre d'origine.

http://cipsi.it/il-progetto-kiwicha-amaranto-in-argentina/

Questo è proprio il momento dell'amaranto, dato che si stanno sempre più scoprendo le virtù degli pseudocereali.
Nei secoli si è diffuso in tutto il mondo, ma senza ottenere il successo di altri vegetali sudamericani. In Europa arrivò a partire dal '700, ma venne usato solo come pianta ornamentale; in Africa e in Asia a partire dall’800 come ortaggio in Africa e come pseudocereale in Asia, ma sempre su superfici limitate.
Nonostante le coltivazioni limitate la pianta, rustica ed infestante, in alcune zone è riuscita a spontaneizzarsi.


Come accennavo, se escludiamo il sovraffollamento dovuto a una semina troppo abbondante e a un diradamento non sufficiente, non ho avuto alcun problema di coltivazione.
Nessun parassita particolare l'ha disturbato e hanno superato le mie assenze di una settimana per vacanza.    
Consigliano di coltivarlo in terreni poco concimati, per evitare che le piante accumulino grandi quantità di azoto. Se si desiderano foglie e fiori dai colori particolarmente intensi  è necessario aggiungere fosforo e potassio.
Si dovrebbe seminare quando le minime notturne non scendono sotto i 6-8 gradi, e la temperatura di germinazione è di 15° ma ho visto che ha resistito anche a temperature inferiori.
Ho seminato a inizio marzo e nonostante la primavera fredda e piovosa che ha ostacolato lo sviluppo di tutte le altre mie coltivazioni, a metà aprile le piante erano alte 30 cm e con belle foglie verde intenso o rosso violaceo.
Vista la relativa complessità della raccolta dei semi della quinoa seminata l'anno scorso ho deciso di puntare sulla produzione di foglie e non di semi, così dopo un attimo di sconforto dovuto alle solite malelingue degli invidiosi coltivatori di piantine innestate (pernacchia!) che mi dicevano che le foglie di amaranto sono velenose... ho iniziato a raccoglierle e mangiarle, con l'incoraggiamento di Orto delle Piane, trovandole davvero gustose.


Già, perché a quanto ho letto la raccolta dei semi di amaranto è ancora più difficoltosa di quella della quinoa, perché i semi maturano a scalare, quindi alcuni cadono a terra perché maturi e altri sono acerbi. Per ovviare a questo sono state selezionate cultivar a maturazione non scalare. Probabilmente i miei semi lo erano, ma ho preferito puntare sulle foglie, gustose e delicate, che ho raccolto abbondantemente.
Un amico mi dice che contengono molti ossalati e mi distruggeranno i reni.
Visti i tanti consigli non corretti ricevuti in precedenza riguardo l'amaranto, e visto che per ora non riscontro problemi di sorta, continuo a consumarle.
La produttività in termini di foglie e semi  è molto elevata. Le specie da seme producono amenti penduli enormi, che arrivano a pesare  alcune centinaia di grammi. Una singola pianta può produrre fino a 200.000 semi.
Si possono avere anche due raccolti l'anno dalla stessa pianta.
Il colore dei semi va dal bianco al crema al marrone.

Il merito più noto degli pseudocereali è l'assenza di glutine. Questo li rende un alimento prezioso per chi soffre di morbo celiaco o di altre intolleranze al glutine, per chi ha bisogno di energia senza appesantirsi e per i bambini.
Dopo anni di pastina glutinata la tendenza è di evitare la somministrazione di glutine ai bambini per ridurre il rischio che sviluppino intolleranze a questa sostanza.
E' ricco di proteine con elevato valore biologico e contiene lisina, amminoacido essenziale di cui sono carenti quasi tutti i cereali, inoltre calcio, fosforo, magnesio e ferro.    
La farina di amaranto non contiene zuccheri semplici e consente il suo impiego nelle diete di obesi e diabetici.
Pare che sia un toccasana in estate perché abbassa la temperatura corporea.
Il suo consumo dovrebbe abbassare i livelli di colesterolo e di conseguenza migliorare le malattie cardiache.
Si può fare un pediluvio con l'infuso o decotto di foglie contro il gonfiore delle gambe. I semi contengono molto calcio e le foglie molto ferro. L’olio di amaranto ha anche usi cosmetici. Grazie alla vitamina E e allo squalene è tra gli ingredienti di preparati ipoallergenici per la pelle e per i capelli, e ha potere antiossidante.
Contro la sciatica macerare 100 g di fiori in mezzo litro di acqua calda per 10 minuti. Far bollire 15 minuti. Applicare una volta al giorno.
Non so se faccia bene, ma penso che non possa far male.
Ricette:
In sudamerica l'allegrissimo amaranto e il dolce confezionato con i suoi semi vengono chiamati Alegrìa.
Era un dolce importantissimo per quelle popolazioni, utilizzato nelle cerimonie in onore degli Dèì e usato come moneta di scambio. I conquistadores per imporre la religione cattolica ne proibirono l'uso.
Il dolce Alegrìa si prepara con amaranto tostato, tipo pop corn, impastato con zucchero o miele e succo di limone e pressato come un croccante.
Ecco altre ricette messicane:
http://www.amaranto.com.mx/recetario/secRecetario.html
e italiane
http://ambientebio.it/conosciamo-lamaranto-rigorosamente-bio-e-come-usarlo-in-cucina

Quindi i semi si possono "soffiare" o tostare in olio, (pochi alla volta per controllare meglio la cottura) ottenendo una sorta di microscopica imitazione del pop corn, da sgranocchiare così oppure da aggiungere a qualsiasi piatto, dall'insalata, al muesli, alle zuppe, o a un  mix aromatico di erbe e spezie.
I semi si possono fare germogliare, oppure macinare e usare come farina, che non contenendo glutine non può lievitare.
In caso di impasti lievitati occorre aggiungere farina con glutine. So che esiste il modo di fare lievitare le farine per celiaci, probabilmente con lieviti chimici, ma non lo conosco, e non posso dare consigli in tal senso.
Con i semi si ricava anche un latte dalle ottime caratteristiche.

Come dicevo, riguardo l'utilizzo in cucina dei semi, all'inizio avevo seguito le istruzioni riportate sulla confezione: 50 gr. di semi a persona, il  doppio di acqua (non si sa se in peso o in volume) cuocere mezz'ora in pentola normale o 20 minuti a pressione, fare riposare 10 minuti poi... sgranare i chicchi e condire a piacere. Sgranare?!? il tutto era diventato un impasto collosissimo.
Il gusto non era sgradevole, anche se non amo i cibi appiccicosi, ma sicuramente impossibile da sgranare.  Così ho pensato "Amaranto, stavolta ti sistemo io!" e ho fatto gli gnocchi. Ho iniziato raccogliendo del Piatello (hypocoeris radicata) e bietoline, che ho lessato e passato in padella. Ho lessato e passato anche due piccole patate. Quando il tutto è stato cotto ho impastato amaranto e patate aggiungendo della farina di grano tenero, sale e noce moscata.
Avrei voluto mettere del grana ma mi sono dimenticata. Nonostante la consistenza gelatinosa l'amaranto era più umido di quanto sembrasse. Non volevo aggiungere molta farina per il timore di ottenere gnocchi troppo duri, così mi sono rivolta al preparato per purè di patate. Non mi sembra un prodotto "naturale" ma mi risolve molti problemi che possono insorgere durante la preparazione delle mie ricette improvvisate, asciugando quanto risulta troppo umido. 
Quando l'impasto è stato di consistenza lavorabile ho prima formato dei cilindretti e poi tagliato dei piccoli pezzetti, avvolti nella farina per non farli appiccicare tra loro. Dopo averli lessati li ho conditi con le erbe passate in padella.
Questi gnocchi li ho preparati il giorno in cui ho seminato l'amaranto per la prima volta, quindi non avevo a disposizione le foglie, altrimenti si potrebbero usare foglie e semi di amaranto insieme.
A costo di farvi inorridire aggiungo che l'acqua di cottura di questi gnocchetti era densa e saporita, così l'ho usata per lessare delle foglie di "broccoletto all'olio" ottenendo una pietanza di verdura che abbiamo mangiato a cena con polenta e formaggio. 
            
Le foglie invece le uso come qualsiasi altra verdura lessata: per minestre, come contorno, ripassate in padella o condite in insalata con sale, olio e aceto o limone, per fare polpettoni o frittate, o per condire la pasta o il riso. Il gusto è molto delicato.
Da crude hanno invece un sapore "di erba" che mi ispira poco, così le consumo solo cotte. Si possono anche conservare essicate. 
Anche i fusti si possono spellare e cuocere, secondo quanto ho letto, ma mi sembrano piuttosto coriacei e non ci proverei.


Curiosità:
Le foglie di alcune varietà hanno colori molto intensi e si utilizzano per estrarre un colorante naturale.
Il nome  deriva dal greco amarantos che significa " che non appassisce" o " che non cambia colore" 
Pare per la lunghezza della fioritura o perché i fiori mantengono il loro colore dopo l'essicazione e si usano come pianta ornamentale. Questa sua caratteristica ha fatto sì che i greci la considerassero simbolo dei veri sentimenti, immutabili nel tempo. 
Pare che un varietà  fosse conosciuta già nell'antica Grecia, non sarebbe quindi originario solo del Sudamerica.
Nella mitologia greca le dee gradivano essere incoronate con foglie di amaranto e ricambiavano con la loro protezione.
Era simbolo di immortalità, quindi si usava per ornare le tombe. 
Non sono riuscita a capire se il "vlita," l'amaranto che cresce spontaneo in Grecia, sia derivato dall'antiva varietà greca o importato dal Sudamerica.
Il mio entusiasmo dovrebbe essere evidente. Che altro dire? Provate!